Drink to Me. A sentire il nome si potrebbe pensare a un’ironica trovata dell’ennesimo gruppo di ragazzacci arrabbiati, pronti a urlare e a rumoreggiare riversando invano la loro frustrazione su degli strumenti inermi, il tutto condito da fiumi di alcol (ingerito, dispensato, gettato) quasi a battezzare se stessi e chi li segue in nome, magari, di un ambivalente e distruttivo auto-annegamento di reazione-chiusura nei confronti di una realtà che comunque vada inghiottisce e mortifica.
Ma stiamo fantasticando e, come sempre, questa è la riprova che il pre-giudizio è il figlio mistificatore dell’approssimazione.
A dire il vero il “rumore” c’è, qualche urlo pure e, forse, anche una sottesa incazzatura. Quella dei Drink to Me, però, è un’altra storia.
Il gruppo ha i suoi natali ad Ivrea (To) a partire dall’autunno del 2002.
Da questa data per diversi anni a seguire i quattro (Marco Bianchi voce, chitarra, synth – Carlo Casalegno basso, voce – Francesco Serasso batteria, voce – Pierre Chimdemi chitarra) sfornano una serie di Ep autoprodotti (The Beauty Ep, 2004 – Kralle Brau Session, 2005 – Organic Ep, 2007) in attesa dell’ambita opportunità di registrare il debutto ufficiale.
L’occasione arriva ed è più unica che rara. Al gruppo piemontese viene proposta l’incisione di un disco oltremanica, a Londra, con l’ausilio e la supervisione tecnica di Andy Savours (Blonde Redhead,Yeah Yeah Yeahs, The Killers, The Horrors).
Dalla collaborazione, tra inediti e ripescaggi dai precedenti Ep, viene fuori il loro esordio: “Don’t Panic, Go Organic” (Midfinger Records).
L’esperimento è coraggioso: post-punk, psichedelia ed elettronica frullati e conditi in salsa noise danno vita a sonorità lisergiche e piacevolmente frastornanti, nonostante, talvolta, sfocino nell’essere rumorose anziché rumoriste.
Intelligentemente strutturato in funzione di continui e repentini salti da e in registri stilistici multiformi, l’album traghetta l’ascoltatore dall’acuto indie pop di “Frozen George” alle punte hardcore di “Insane” virando per l’oscura e lenta melodia di “Because Because” fino ad attraccare al capolinea di un viaggio palesemente altalenante con i 7:41 minuti di “Camposanto”.
A due anni di distanza, siamo nel 2010, l’ormai trio, orfano del chitarrista Pierre Chindemi, promuove il suo secondo lavoro “Brazil” pubblicato dalla bolognese Unhip Records.
Sulla scia dell’esordio si incede affiancati da una onnipresente commistione di genere, stavolta sviluppata con sempre maggiori chiarezza e qualità compositive ed espressive, andando, così, a definire un sound caleidoscopico, frutto che solo le capacità e il tempo ben speso possono donare.
Su un tappeto di synth si snodano rumori sfrigolanti, ritmi tribali e pittoreschi innesti dance.
Bella e affascinante la intro “Small Town”, divertente “Amazing Tunes” (<<Listen to this amazing tunes, the sound is cool>>), avvolgente “David’s Hole” quasi una hit che precede gli echi dream ambient di “A Stain In The City” subito rotti dall’irruenza di “B9” per poi sciogliersi sulle note della scanzonata “We’re Human Beings”.
La prova di maturità della band arriva nel marzo di quest’anno, esce “S” (Unhip Records) anticipato dal vivace singolo “Future Days”.
Un album fortemente contaminato ma, allo stesso tempo, estremamente pulito e di notevole fluidità.
Si rincorrono miscelandosi massicce bordate sintetiche, acide fluttuazioni psichedeliche, ritmiche martellanti, perenni distorsioni, senso del groove, scosse dance, melodie pop. Un impianto dall’accalappiante impatto sonoro.
La trainante “Henry Miller”, “The Elevator” e “Future Days” su tutte, curioso lo sviluppo di “L.A. 13”, discorso a parte per la cupa asprezza kraut di “Dig A Hole With A Needle” e per il vaporoso finale di “Airport Song” tripudio di eterea oniricità.
Ecco alcune delle valutazioni da parte degli addetti ai lavori distribuiti tra il web e la carta stampata:
Ispirati e stracolmi di personalità. (Rumore)
S è una delle cose più sexy in circolazione (Rolling Stone)
Una delle più brillanti, ingegnose e intriganti realtà della scena indipendente italiana. (Rockerilla)
Fate attenzione: induce assuefazione. (D di Repubblica)
Un disco che nei suoni è un sbronza colossale. (sentireascoltare.com)
“S” segna una consacrazione probabilmente definitiva delle capacità compositive del gruppo. 85/100 (kalporz.com)
I Drink to Me viaggiano sulla cresta dell’onda rendendo onore alla musica italiana. 4.5/5 (rockambula.com)
Un album incredibile; coeso, folle, sperimentale, coraggioso, sorprendente. (roarmagazine.it)
Potente e raffinato. (loveandsound.it)
“S” è fatto per i giovani, per gente giovane dentro. (magmusic.it)
Consacrati dal giudizio della critica. Ora tocca al pubblico. Se non sono di vostro gradimento potete sempre lapidarli con le arance. Vi capiranno.
Franz Tedeschi